E se il nonno non ci riconosce più?

Come parlare ai bambini della demenza

La demenza è una malattia degenerativa del cervello, che nel tempo determina deficit cognitivi e funzionali, incidendo notevolmente sull’autonomia della persona colpita.

Generalmente le diagnosi sono riscontrate dopo il sessantacinquesimo anno d’età, pertanto possiamo ipotizzare che una persona, alla quale viene diagnosticata una demenza, abbia intessuto durante la sua vita una serie di relazioni che l’abbiano vista protagonista di numerosi ruoli esistenziali: figlio/a, amico/a, marito/moglie, padre/madre e nonno/a. Per tale ragione, quando ci interroghiamo sul come spiegare ai bambini cosa sia la demenza e per quale motivo il nonno/anon ricorda più molto bene la strada per tornare a casa, dobbiamo fare i conti con un dettaglio non proprio irrilevante: la “nonnità”. 

Nonni e nipoti

Nella nostra società i nonni vestono numerosi abiti: tradizione, sostegno, stabilità e accudimento. Dispongono del bene più prezioso, di cui la maggior parte degli individui adulti sono deficitari: il tempo. Nipoti e nonni sono legati da un doppio binario relazionale, che garantisce un proficuo scambio generativo. I primi rintracciano le proprie radici volgendo lo sguardo a chi c’è stato, i secondi vivono una seconda opportunità per la quale è necessario fare appello alla propria vitalità, energia e saggezza.

Quando una diagnosi arriva, trasforma inevitabilmente gli equilibri personali e quelli di tutta la famiglia. 

I caregivers

La matassa molto spesso si aggroviglia fra le mani dei figli, spesso a loro volta genitori, che si prendono cura dei più piccoli e dei più anziani. L’appello alla consapevolezza dell’adulto è fondamentale per far chiarezza fra le emozioni e gli stati d’animo che si avvicendano. É necessario un costante esercizio di autenticità dove è concesso ammettere la stanchezza, la tristezza e la preoccupazione. Nell’accettazione della propria umanità, si dispiega il paradosso educativo per cui, anche nelle difficoltà, l’adulto fornisce al bambino un modello d’azione che inevitabilmente plasma il pensiero.

Si può parlare ai bambini e ai ragazzi di demenza?

Non esistono argomenti di cui non si può parlare ai bambini, ma bisogna cercare le parole giuste per dirlo. Parafrasando la dottoressa Luigina Mortari, dell’università di Verona, “l’aver cura dell’altro passa, fra le altre cose, attraverso la scelta delle parole che decidiamo di utilizzare”, assicurandosi che quest’ultime siano comprensibili e chiare, che non dicano più di quanto il bambino abbia chiesto ed infine che siano digeribili, ovvero che il contenuto emotivo dell’informazione sia sostenibile dalla mente del piccolo. 

Un’opportunità educativa

Un adulto, che risponde alle domande dei bambini sulla demenza e sulle difficoltà della nonna o del nonno, esplicita il sistema di valori sul quale poggia la famiglia. Inoltre attiva uno scambio dialogico fra generazioni che tornerà molto utile quando il bambino, diventato adolescente, metterà in discussione i riferimenti familiari e valoriali per scoprire i propri.

Per raccontare ai bambini la malattia, occorre declinare le narrazioni sulla fase di crescita del piccolo e sui suoi bisogni. Fra gli zero e i sei anni, il cervello del bambino vive una densa fioritura che gli permetterà di acquisire competenze cognitive, sociali e di autoregolazione emotiva fondamentali per lo sviluppo. Queste intense trasformazioni spingono il bambino ad interrogarsi costantemente sul mondo circostante, determinando domande sulla realtà quotidiana, paure e riflessioni filosofiche sul senso della vita e della morte. Perché la nonna dimentica tutto? Dimenticherà anche me? Dove si va quando si muore? Per rispondere a quesiti di tale profondità, è opportuno utilizzare un lessico adeguato e corretto e dare spiegazioni pertinenti rispetto alla richiesta. Quest’attività richiede un buon investimento energetico, che spesso impone a noi adulti riflessioni che preferiamo tenere distanti dalla quotidianità. Per tali ragioni è necessario fare appello all’autenticità. Quando una domanda affonda in punti nevralgici ancora troppo dolenti, è opportuno, senza timore, prendere lo spazio e il tempo necessario per raccogliere i pensieri. Tale operazione ci permette di gestire le proprie emozioni ed accogliere quelle del bambino, inoltre concretizza un valore fondamentale nelle relazioni umane: il rispetto per sé e per l’altro. Dai sei anni fino all’adolescenza, i bambini e i ragazzi sono maggiormente consapevoli degli schemi d’azione di un adulto, dunque potranno serbare maggiori dubbi e domande sui comportamenti della nonna considerandoli bizzarri. Potrebbero voler maggiori spiegazioni circa la malattia e interrogarsi su come poter essere d’aiuto nella cura dell’anziano.

Di contro potrebbero sorgere alcune difficoltà quali ad esempio il non voler invitare i coetanei a casa, qualora il nonno o la nonna condividano l’abitazione. 

Il tempo da trascorrere insieme, quali attività?

Il tempo speso con il nonno o la nonna dovrebbe seguire il principio del piacere condiviso. È fondamentale proporre attività adeguate al livello cognitivo e di autonomia dell’adulto e del bambino, facendo attenzione alla sicurezza di entrambi. Generalmente le attività della vita quotidiana possiedono caratteristiche educative che si declinano perfettamente sui bisogni degli adulti e degli anziani, in quanto aiutano i bambini ad accrescere competenze di coordinazione occhio-mano, di motricità fine e sociali; negli anziani stimolano le competenze residue fungendo da traino mnesico. Costituiscono alcuni esempi la cura dell’orto o del terrazzo di casa, la preparazione di dolci o semplici pietanze, la lettura ad alta voce di libri ed albi illustrati, che può diventare un appuntamento da promuovere e sostenere. 

Inoltre le letture ad alta voce con i bambini e i ragazzi rappresentano un’opportunità per intessere ponti su cui aprire il dialogo su alcuni temi di difficile gestione emotiva, in primis per noi adulti. Un libro non spiegherà al nostro posto le sfaccettature della quotidianità, ma può fungere da serbatoio narrativo da cui attingere immagini e parole, anche nei momenti più difficili. In quest’ottica raccontare ai piccoli la demenza si trasforma in un’opportunità di crescita per tutta la famiglia.

Bibliografia essenziale

Silvia Vegeti Finzi, Nuovi nonni per nuovi nipoti, 2008

T.B. Brazelton J. D. Sparrow, Il bambino da 3 a 6 anni, 2018

J.U. Rogge, Quando i bambini hanno paura, 1997

Daniele Fedeli, Pedagogia delle emozioni, 2013

Luigina Mortari, Filosofia della cura, 2015

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